Monte Zebrù e la via normale dal Rifugio Quinto Alpini
La Guida Alpina Eraldo Meraldi presenta il Monte Zebrù nel gruppo Ortles – Cevedale e la sua via normale dal Rifugio Quinto Alpini.
Il Monte Zebrù o Piccolo Zebrù nel detto locale si trova in uno degli angoli più solitari e selvaggi del gruppo dell’Ortles-Cevedale sulla linea di confine tra la Lombardia e l’Alto Adige ed è composto da due cime poco distanti, la Cima SE e quella NO che risulta essere la più elevata. Il nome Zebrù sembra abbia origine celtica e derivi dal termine se che significa “spirito buono, santo” e dal termine brugh, anch’esso celtico, che significa rocca o fortezza, quindi “castello degli spiriti buoni”.
Così viene descritto nella preziosa guida del CAI – Regione dell’Ortler – Aldo Bonacossa 1915: “Poderosa montagna dalle larghe solide basi, a foggia di lunga dentellata cresta di roccia e neve, culminante in due vette di quasi eguale altezza e precipitante in una superba ampia parete per buona parte ghiacciata sul Suldenferner: da questo lato essa rivaleggia quasi con la Konig (Konigspitze – Gran Zebrù). Vista dall’Ortlerpass ha la forma di una sottile cresta biancheggiante; il versante meridionale invece è costituito da una grandiosa bastionata a forma di larga schiena arrotondata costituente una delle più alte e selvagge pareti del gruppo. Fiancheggiato immediatamente dalle due maggiori vette della regione (Ortler e Gran Zebrù), il Zebrù perde di conseguenza in importanza cosicchè, malgrado offra una manifica vista su di esse, specialmente sul Suldengrat e sull’Hochjochgrat le cui creste selvaggiamente dentellate si dominano per intero, e malgrado una grande comodità d’accesso ed itinerari d’ogni gradazione, è stato fino ad ora molto dimenticato”.
La prima ascensione è stata di Julius Payer con la Guida Alpina Johann Pinggera il 29 settembre del 1866 dall’Hochjoch (Giogo Alto) per il versante nord-ovest mentre la prima ascensione invernale Muhlstadt con H.S.Pinggera e Peter Dangl il 13 febbraio 1903 con gli sci. Va doverosamente ricordato Julius Payer tenente dell’esercito asburgico artista oltre che alpinista, che con tenacia e devozione lasciò un concreto segno del suo passaggio realizzando, in quattro intense stagioni, la più accurata e completa rilevazione cartografica dell’intero gruppo. Con la sua fedele e fidata guida Johann Pinggera scalarono una cinquantina di vette, delle quali 36 oltre i 3000 metri di quota, e quasi tutte in prima ascensione; egli diede il nome ad un rilevante numero di cime e valichi, nel rispetto scrupoloso della terminologia, sia italiana che tirolese. Gli va anche dato merito di aver reso popolari questi suoi toponimi in quanto ne informava sia le guide alpine che gli albergatori delle vallate, dando loro dei precisi schizzi topografici e portando il territorio d’alta montagna alla conoscenza di tutti.
La via di salita classica ha subito negli ultimi anni una variazione notevole per il ritiro e l’abbassamento dei ghiacciai, rendendo il tratto finale più ripido e con rocce affioranti molto fratturate e friabili.
Il bivacco Citta di Cantù al Giogo Alto fu assemblato nel settembre del 1971 sul luogo dove era edificata la capanna “Hochjoch Hutte” risalente al 1901; questa venne fatta costruire dalla sezione di Berlino del Club Alpino Tedesco con muri perimetrali di 10 metri di lunghezza e 8 di larghezza, sigillati da cemento, spessi un metro e termicamente isolati da un idoneo rivestimento interno in legno. Era formata da due locali, uno per le guide e uno per i signori per un totale di 16 posti letto e c’era anche l’angolo cucina. I lavori furono eseguiti da una ditta italiana, i fratelli Pruneri di Grosio e il sovraintendente fu Giavanni Battista Compagnoni detto l’Africano, insegnante di scuola elementare e Guida Alpina. Tutto il materiale fu trasportato lungo la Val Zebrù su carri e a dorso di mulo fino al rifugio Quinto Alpini, poi a spalle e braccia da uomini che ricevevano un compenso di 45 cent. di lira per ogni chilo trasportato. Non fu rispettato il preventivo di spesa fatto (17.000 marchi) che ammontò alla fine a 30.000 marchi, ma questo non è una notizia sensazionale perché succede ancora ai giorni nostri. Negli anni successivi parecchi alpinisti beneficiarono di questo ottimo ricovero e fra questi vanno annoverati anche nomi celebri dell’alpinismo come Preuss, Corti, Dyhrenfurth e tanti altri. Ma all’inizio della prima guerra mondiale in esecuzione ad una decisione del Comando competente, al 3° plotone della 113^ compagnia del V Alpini, venne impartito l’ordine di eliminare il rifugio, perché sarebbe potuto diventare una base logistica per l’esercito austriaco. Così nella notte del 19/07/1915 i soldati italiani salirono al Giogo Alto, demolirono la costruzione e ne incendiarono i resti, tornando a valle col carico dei mobili e delle attrezzature che poterono portare via.
Il bivacco offre la possibilità di sostare la notte in compagnia degli “spiriti buoni”, di fermarsi ad osservare meglio la fredda bellezza che sta intorno, immersi nel ghiacciaio, contornati da creste e cime. Al cospetto di tanta bellezza veniamo presi dall’impulso di afferrarla e possederla. Ma questa bellezza d’alta montagna è effimera e sfuggente e la si incontra spesso in luoghi dove non torneremo mai o comunque anche se si ritorna, tutto è diverso per il frutto di cambiamenti sia del proprio animo che del luogo. Questa bellezza allora cerchiamo di rubarla scattando fotografie per placare questa sete di possesso accesa in noi dalla magnificenza del luogo. Incidiamo anche il nostro nome sul ghiaccio o sulla neve, oppure prendiamo una piccola roccia come ricordo. Ma il segreto è capire la bellezza, l’armonia che si ritrova soprattutto nei paesaggi alpini, nei paesi o città medioevali; quella bellezza la prendi con gli occhi e l’assorbi lentamente fino a portarla dolcemente dentro, per sempre. Se poi vuoi andare oltre, allora descrivila attraverso la pittura e la scrittura; ma questa è un’altra storia.
SCHEDA: Monte Zebrù, Ortles – Cevedale
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