Di roccia e di ghiaccio, la storia dell’alpinismo in 12 gradi ripercorsa da Enrico Camanni
Enrico Camanni nel suo ultimo libro ‘Di roccia e ghiaccio – Storia dell’alpinismo in 12 gradi’ (Laterza, 2013) ripercorre la storia dell’alpinismo grado per grado, una lunga cavalcata sulle orme dei pionieri e dei nuovi fenomeni delle salite in velocità. Ma, pur evoluto nel tempo, l’andare di vetta in vetta conserva il fascino e la forza simbolica di sempre, perché, come disse Mallory, le montagne ‘sono là’. Recensione di Erminio Ferrari.
La storia dellalpinismo è stata scritta e riscritta più e più volte. Seguendone un ordito cronologico, oppure sviluppandosi attorno a categorie di prestazione più alto, più difficile, più veloce soprattutto da quando la componente sportiva (ricordiamolo: solo una tra le altre) ha preso a prevalere. Una sintesi tra le due narrazioni è quella ora proposta da Enrico Camanni nel suo Di roccia e ghiaccio – Storia dellalpinismo in 12 gradi (Laterza, pagg. 274, € 18).
Giornalista, saggista, storico dellalpinismo, romanziere, Camanni torna sui passi che altri hanno già compiuto, ma il suo andare conserva unoriginalità che il registro divulgativo finisce per premiare (mentre spesso la questione è stata regolata da case editrici e scritture per iniziati). A partire dalla struttura circolare della sua narrazione: aperta dalla salita al Mont Ventoux di Petrarca (1336; grado zero) e chiusa dalla trilogia di Ueli Steck, the swiss machine (2008/2009; dodicesimo grado) che per salire le pareti nord dellEiger, del Cervino e delle Grandes Jorasses ha impiegato complessivamente sette ore e rotti: Che con qualche approssimazione così Camanni conclude il libro corrispondono al tempo che Francesco Petrarca impiegò per salire in monte Ventoso della Provenza. Ma lui era un poeta.
Tra i due episodi (e Camanni giustamente corregge chi indica nel primo la sua salita inaugurale) scorre quella lunga vicenda di faticoso amore che continua a essere lalpinismo. Teatro della quale sono state essenzialmente e a lungo le Alpi, da cui, in effetti, la storia raccontata da Camanni si allontana solo episodicamente. Forse per adesione alletimo; o forse perché le stesse Alpi non furono solo incubatrice e culla dellalpinismo, ma furono anche il terreno che stimolò e permise le sue più importanti evoluzioni. Quantomeno fino al trasferimento alle quote più elevate degli stili e delle tecniche qui sviluppate. Non è un caso, direi, che per
indicare un approccio di salita leggero e fair, in Himalaya si parli ancora di stile alpino.
Luoghi e protagonisti di due secoli e mezzo di alpinismo (più un paio, tre, di antefatti) si succedono, grado su grado, coprendo con precisa coerenza i fatti noti e quelli meno scontati di questa ormai lunga storia. I nomi ci sono tutti (qualche riga in più per Bonatti, però, lavrei scritta) e tutti concorrono a rappresentare quanto variegata è lumanità che si avventura per le montagne. E questi sono solo quelli che ne hanno fatto la storia.
Pionieri inconsapevoli (i giovani di Gressoney, che nel 1778 salirono fino al Colle del Lys, ben oltre i quattromila metri, alla ricerca della valle perduta della tradizione walser) o élite conscia del proprio salto nel futuro, queste figure hanno ispirato generazioni di noi alpinisti ciabattoni che arranchiamo a inseguirne le imprese. E hanno ispirato un Camanni saggista nella forma che, più del romanzo, ne valorizza al meglio la penna.
La sua chiave interpretativa della passione che ci accomuna è nella citazione dal celebre Monte Analogo di René Daumal, romanzo di avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche. Eccolo spiegato lalpinismo: indimostrabile nella sua essenza, potentemente simbolico nellazione concreta. Del resto le montagne sono là, quale motivo in più occorrerebbe per farsene stregare?
Recensione di Erminio Ferrari
Click Here: cheap INTERNATIONAL jersey